Loretto Rafanelli
e
Paolo Valesio
con
Raffaella Bettiol
Data: dom 06 ottobre 2024
INGRESSO LIBERO SENZA PRENOTAZIONE
17:30
Ad ogni stazione del viaggio
A otto anni dalla precedente, la nuova raccolta di poesie di Loretto Rafanelli rivela ancora una ricerca poetica coraggiosa e di ampio respiro, contrassegnata da profondità interiore, slanci spirituali, preziosità linguistica e ricchezza di temi. Poesia che, tra nervature telluriche e andamenti distesi, contempla argomenti intimi, mute e sbiadite memorie, “sguardi” a multiformi paesaggi, definibili come luoghi dell’anima, riflessioni sulla cronaca quotidiana, che in queste pagine si trasforma in linguaggio universale. Poesie in cui si riconosce il senso compassionevole e pietoso del poeta e la sua empatia verso persone che hanno patito la tragedia della violenza e dell’esclusione, tanto che si è parlato, per la sua poesia, di “lirismo civile” e “drammaturgia civile”.
Il regno doloroso
Questo non è un romanzo sperimentale, ma un esperimento concretato in romanzo. Tre personaggi vivono la loro quotidianità come tanti altri, in quello che è divenuto un cosmopolitismo domestico abituato agli spostamenti continui, tra Vecchio e Nuovo Mondo.
Vi è, nel vivere di costoro, una sola ma significativa differenza: l’acuità (che arriva ad essere dolorosa) con cui essi osservano le cose e gli eventi anche minimi.
Ogni prolungata e acuminata contemplazione delle cose del mondo nei loro particolari dettagli dà un misto di piacere e dolore. “Doloroso”, dunque, non nel senso di un’assenza o aridità, ma al contrario: nel senso di un mondo gremito, affollato – che trasmette un affanno, e insieme una specie particolare di gioia.
Il sacro si manifesta nel mondo d’oggi solo in modo frammentario e in forma degradata. Questo romanzo – che è stato definito come una serie di epifanie soffocate – descrive la miseria e l’inseparabile bellezza (la peculiare nobiltà disperata) di questa presenza del sacro. Che è indissolubilmente legato alla materia, alla fenomenologia della carne e dei sensi.
Si narra che (nel 1600) la visione estatica decisiva per la vita del mistico tedesco Jakob Bòhme nascesse dall’osservazione di cosa in sé banalissima: un piatto di peltro – che, percosso dai raggi del sole, risvegliò in lui un’interna luce violenta che parve introdurlo ai misteri delle cose. Nel Regno doloroso agisce l’interrogazione costante, accanita, dei piccoli oggetti ed episodi da cui può scaturire la scintilla.
Un grande narratore del primo Ottocento scrive, parlando di uno dei suoi personaggi, questa frase: “Qui egli notò una circostanza che, a seconda dell’interpretazione che egli poteva darle, era o troppo banale per esser perfino menzionata, oppure così misteriosamente significativa che egli quasi non credeva ai suoi occhi”.
Il regno doloroso segue il filo di questa discriminante, che percorre tutti i nostri giorni, le nostre esperienze.
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